domenica 18 maggio 2008

Una giornata che dondola, un cuore che dondola, un equilibrio precario.

Camminavamo per le vie del centro, era una serata davvero calda ieri, in Città per tutto il giorno si è respirata un'aria molto pesante: 30 °C che ti stringono la gola ed anche il cuore. Volevo stare in mezzo alla gente, c'erano tante iniziative qua e là...La notte bianca, musei aperti, pizzofree a piazza Magione. Le occasioni di certo non mancavano.
Di pomeriggio lo zito mi ha "degnata" di un fugace shopping (WoOoW!), di gente ne abbiamo incontrata e come, ma noi tre era come se fossimo da soli in una città vuota. La mia sensazione è stata proprio quella lì: solitudine. Solitudine e impotenza aggiungerei. Il cavalluccio di legno e pazientemente intarsiato da un senegalese che sopporta bene i raggi del sole sulla sua pelle, dondola. Non è il solo a dondolare, in questa settimana che ringrazio Iddio, se n'è appena andata.
Dondolare non è stabilità. E' quel senso di inafferrabile che mi fa avvertire la precarietà. Tu sei lì, con la mano tesa verso quello che vuoi e non lo riesci ad afferrare. Ti sfugge, non vuole farsi prendere. E non sai neanche perchè, da dove nasce questo diniego d'amore! Tutta questa brutta storia mi ha dato una certezza, una direttiva di comportamento: non sprecare un giorno di sorrisi. Ogni giorno nasce perchè tu disperda il tuo sorriso come il polline trasportato da farfalle ed api laboriose in giro per i campi. In questo momento io riesco ad afferrare tutto quello che voglio, forse perchè tutto si lascia afferrare da me, favorendomi l'equilibrio, ma mi dispiace profondamente avvertire il dondolìo di qualcun altro. Vorrei lanciargli una fune che da un capo rimane ancorata al terreno, alla terra solida che non è quella di un isola, che da un altro capo si aggrovigli nel suo polso e lo saldi bene sulla certezza della sua vita.
Purtroppo quella fune non ce l'ho, nè parole di speranza, nè di disperazione.

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