sabato 3 maggio 2008

Sei di Palermo se...Hai fatto un salto dal "ballerino" o "a S. Francesco". Street food...Paninu ca' meusa.


A quale palermitano non è capitato di trovarsi a sorridere tra amici davanti ad un salutare, 'nsivusu e 'nchiappusu paninu ca' meusa?
Be', penso che tutti, almeno una volta nella vita l'abbiamo provato e direi che sono pure guai se non l'abbiano fatto!
Davvero, cari miei, non sapete cosa vi perdete!
Si, la Città offre opportunità anche di questo tipo..."A Palermo nulla ti manca"!
Esistono varie categorie di fastfooddiani...Certo, i più "schifignusi" non si rifugiano di sicuro da "Nino u ballerino", ma preferiscono correre da "tarattattattà...I'm lovin'it", ignorando le intrinseche qualità di quel GIALLISSIMO hemmental ovvero di quella poltiglia insapore che dicono essere un burgher...
Mi fido molto di più della "sugna" (strutto, per gli italiani!) fitusa, usata e riusata, e della magia dell'ignoranza di milza e polmoni di chissà quale vitello!
La Città vive soprattutto di questo: tradizione.
Colorisaporiodori.
E di "meusari" ne trovi tanti...Oltre a S. Francesco, noto per le sue vicende pizzofree -che solo per questo i cittadini tutti dovrebbero mangiare ogni sera panino ca' meusa per sostenerlo quel "grande" imprenditore!- e Ninu u ballerino, noto per il suo "balletto" -delicato e preciso movimento di bacino/spalle- durante la preparazione del panino, ce ne sono degli altri...A piazza Marina, in C.so Vittorio dopo l'incrocio con via Roma, c'è anche "U figghiu rò zziu Ginu"...
Ce ne son tanti, eh! Non ho memoria a sufficienza per una completa menzione!
Si narra che l'origine del pane ca' meusa risalga addirittura al Medioevo. In Città risiedeva una copiosa comunità ebrea che per sbarcare il lunario si occupava della macellazione di carni...Come diciamo noi, i poveretti erano: "rutti, strutti e..." (e non continuo per la volgarità del detto!), in buona sostanza significa che, nonostante il loro duro lavoro, non potevano percepire, per fede religiosa, denaro e quindi come ricompensa tenevano le interiora che rivendevano condite con formaggio, come farcitura di succulenti hot-dog.
Sul finire del '400, con l’allontanamento della comunità ebraica dai territori sottoposti al dominio spagnolo di Re Ferdinando II d'Aragona “il cattolico”, quest'attività passò presumibilmente ai “caciuttari”.
Nell’ottocento nacquero poi le famose "focaccerie" dove, seduti al tavolo e serviti da eleganti camerieri, si poteva gustare la "vastedda” dopo aver risposto alla semplice domanda :" ‘a vuoli schietta o maritata? ".
A distanza di anni ed anni, nella Città i venditori di meusa ripetono con continuità storica e devozione gli stessi gesti, come in un rituale sacro: la pentola inclinata, dove nella parte alta vengono riposte le fettine di milza e polmone e in quella bassa soffrigge lo strutto.
Cibo di ricchi e di poveri indistintamente, lauto banchetto per panze di ogni tipo.

0 commenti: